PSICOLOGIA


L'AUTISMO


Tra le psicosi dell’età evolutiva la più nota è quella dell’autismo. I dati segnalano un’incidenza di questa patologia tra i 5 e i 30 casi per ogni 10.000 bambini.

Con il termine autismo si intendono individui assorbiti nelle proprie esperienze interiori che si distaccano da ciò che è la realtà esterna. Gli individui sono contraddistinti da un profondo isolamento sociale, insuccessi nello sviluppo del linguaggio e incapacità di instaurare un sistema di comunicazione. Le teorie riguardanti le origini di questa psicosi infantile sono diverse e non concordanti: alcuni studiosi sostengono che le origini della malattia siano attribuibili a cause organiche quali anomalie nel funzionamento dei neuroni a specchio che risultano essere attivati con una certa carenza nei soggetti autistici. Altri studiosi attribuiscono invece la malattia di un’incapacità biologica di provare attaccamenti emotivi. Secondo questi studiosi la causa dell’autismo è riconducibile ad una freddezza e distacco dei genitori nei confronti dei loro figli.

Leon Eisenberg sostiene che i genitori di bambini autistici si interessino loro soltanto nella misura in cui si presentano in grado di eseguire automatismi tra i quali, per esempio, recitare cose esposte a memoria e capacità di calcolo superiori alla media. I genitori tendono infatti a volere un bambino perfetto.

Lo psichiatra austriaco Bruno Bettelheim  sostiene invece una posizione intermedia. Secondo lui l’origine organica è quella psichica dell’autismo sono infatti ricongiungibili: egli sostiene che se il bambino nei primi anni della sua infanzia non viene stimolato dall’esperienza sensorio- affettiva da parte dei genitori potrà più facilmente ricadere in psicosi simili. Il ruolo dei genitori diventa quindi fondamentale per la vita dell’infante.

 Il bambino autistico presenta una totale indifferenza verso il mondo esterno e un non interesse nello stabilire rapporti con gli altri principalmente solo due gli atteggiamenti che dal punto di vista clinico rendono semplice il riconoscimento di un bambino autistico: il bambino tenta di incurvare la schiena per allontanarsi dalla persona che sta colloquiando con lui al fine di evitare il contatto fisico rimane passivo e nel momento in cui viene preso in braccio, in parecchi casi, egli reagisce con atteggiamenti di ira violenta al contatto fisico e affettivo. La maggioranza dei bambini autistici manifesta   atteggiamenti di ritualità e si comporta spesso in maniera contraddittoria: raggiungono delle tappe che i coetanei raggiungono con molto ritardo mentre per quanto riguarda altri lati dello sviluppo questi vengono raggiunti successivamente ai pari, se non direttamente mai raggiunti.

I bambini sono segnati da comportamenti legati all’indifferenza, presentano difficoltà notevoli nella comunicazione, nella socializzazione e nella percezione emotiva.
Accade spesso inoltre che il bambino autistico manifesti la volontà di mantenere il proprio ambiente costante: vuole mangiare e bere le stesse cose, vestire sempre con gli stessi abiti, percorrere sempre le stesse strade. I tentativi di far cambiare questa routine possono sfociare in reazioni dire a violenta.
Con l’adolescenza i problemi del bambino autistico si aggravano e diventano più frequenti; si possono manifestare con la comparsa di nuovi disturbi quali per esempio le convulsioni che riguardano il 20% dei bambini.

IL BAMBINO ANSIOSO



La 
scuola, essendo il primo luogo all’interno del quale i bambini si confrontano con se stessi e con i coetanei, è in alcuni casi teatro di ansie e angosce che, il più delle volte, vanno a compromettere il suo apprendimento e la sua serenità nelle relazioni.
Essa può trasparire tramite atteggiamenti di irritabilità, di apprensione continua  e con sintomi somatici quali il vomito, la cefalea, l'eccessiva sudorazione ecc…
Per comprendere le motivazioni per cui un bambino vive il periodo scolastico con sentimenti d’ansia, risulta particolarmente necessario in tali termini andare ad analizzare la situazione familiare del piccolo; molti disturbi emotivi sono  infatti il prodotto di un cattivo ambiente familiare.
Una delle maggiori sintomatologie riscontrabili in un bambino affetto da ansia, è la 
distrazione, ossia la mancanza di partecipazione emotiva. Quest’ultima risulta essere una via di fuga dal sovraffollamento ansioso di pensieri, concetti, azioni che esiste nella mente del bambino e che non gli dà la possibilità di concentrarsi su un argomento unico.
Nel momento in cui i bambini infatti sanno di essere valutati, in molti casi tendono a chiudersi in se stessi: sono costantemente preoccupati, vedono pericoli ovunque e si sentono incapaci di affrontare qualsiasi evento della vita. 
 È possibile che il bambino ansioso a lungo andare sviluppi delle vere e proprie fobie: paure ingiustificate di situazioni o oggetti che scatenano in lui reazioni di paura e angoscia. Il bambino assume un atteggiamento difensivo: cerca di evitare la situazione angosciante anziché risolverla. Tale meccanismo può diventare invalidante per la vita del bambino, infatti può bloccare lo svolgimento della sua normale vita quotidiana. Problematiche simili possono infatti trasparire anche tramite la ripetizione di rituali ossessivi
LA DEPRESSIONE 




Una tra le più pericolose patologie infantili è la depressione, ovvero un’alterazione del tono dell’umore verso forme di tristezza e abbassamento dell’autostima oltre che di tendenze all’auto punizione. L’incidenza riguarda il 10% dei soggetti e si presenta più grave rispetto a quando colpisce gli adulti in quanto i bambini non hanno le risorse interne per chiedere aiuto al fine di uscire dalla malattia.
 La depressione provoca effetti estremamente negativi per quanto concerne la 
personalità del bambino: i bambini depressi non riescono infatti a divertirsi, non giocano, non instaurano rapporti interpersonali e si sentono perennemente insicuri e pessimisti. La predisposizione infantile a questa malattia è legata strettamente alla perdita di uno o entrambi genitori, al distacco fisico e affettivo dai genitori, alla sensazione di essere invisibile agli occhi della famiglia, o alla mancata assistenza dei genitori.
L’
umore disforico caratterizza i bambini depressi: la tristezza accompagna la loro vita insieme a pianti non motivati, rabbia, noia e indifferenza verso ogni attività e situazione oltre che atteggiamenti di autocommiserazione.
La depressione è riscontrabile anche tramite 
sintomi cognitivi: il bambino tende a valutare negativamente le proprie capacità con conseguente abbassamento di autostima e abbassamento del rendimento scolastico. Il bambino si sente sempre affaticato, ha capacità scarse di concentrazione, cambiamento nell’appetito, continui dolori vari e disturbi del sonno. Nei casi più gravi inoltre il bambino ricorre a forme di autolesionismo e tendenza al suicidio.
DISTURBI ALIMENTARI INFANTILI


disturbi alimentari infantili sono solitamente legati all’interazione del bambino con la madre. Fin dalla nascita ogni bambino possiede infatti il riflesso di suzione e di deglutizione, ogni bambino è quindi in grado di nutrirsi. Quello della suzione è un vero bisogno: l’alimentazione non è infatti soltanto riconducibile all'appagamento della fame ma è anche il prototipo delle future capacità del bambino di interazione con il mondo esterno. Un bambino che infatti ha potuto trarre vero piacere dall’allattamento manterrà un migliore rapporto con il cibo oltre che una migliore capacità di relazione con gli altri.
Sin dall’infanzia è possibile però che il bambino vada incontro a dei 
disagi legati alla sfera alimentare: esistono infatti bambini che mangiano a fatica e altri che mangiano eccessivamente; L’anoressia e la bulimia sono infatti due patologie che possono presentarsi fin dalla prima infanzia, così come anche l’obesità.
Quest’ultima in particolare è definita con un 
eccesso del 20% di peso rispetto alla media normale in rapporto alla statura e all’età del bambino. Nei paesi occidentali questo disturbo riguarda ormai dal 2 al 15% dei bambini. I periodi privilegiati per l’esordio di tale malattia sono il primo anno di vita e la pre pubertà (10-13 anni).  Nell’insorgenza dell’obesità entrano in gioco fattori geneticimetaboliciendocrinineurologicipsicologici.
 Nella maggior parte dei casi i bambini obesi si presentano 
timidi e anche se dotati di un normale livello di intelligenza, sono spesso intralciati in campo scolastico e sociale. Molte volte le madricercano di tranquillizzare ansia e sensi di colpa tramite il cibo che riempie infatti bisogni affettivi incolmabili in altro modo. I bambini imparano quindi ad appagare l’ansia e il desiderio di affetto tramite il cibo.
DISTURBI SPECIFICI DELL'APPRENDIMENTO


I disturbi specifici dell’apprendimento, hanno cause neurobiologiche e consistono in disfunzioni delle aree cerebrali coinvolte nel riconoscimento di lettere, parole e numeri e sono raggruppabili in varie tipologie denominate dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia.
DISLESSIA: è legata alla disortografia: riguarda problemi legati alle capacità di lettura e di scrittura che si manifestano indipendentemente dal livello di intelligenza, di età e di istruzione del bambino.
DISCALCULIA: consiste nell’incapacità di fare i calcoli, il bambino inverte i numeri.

Le Difficoltà che un bambino può incontrare con la scrittura sono dette 
agrafie e disgrafie e sono nella maggior parte dei casi associate alle afasie.
Le agrafie si suddividono in centrali e periferiche:
AGRAFIE CENTRALI
AGRAFIA LESSICALE: il soggetto utilizza solo la procedura fonetica, scrivendo le parole come le pronuncia. Il disturbo si presenta chiaramente più evidente nelle lingue in cui non è presente una corrispondenza tra fonema e grafema (Inglese);
AGRAFIA FONOLOGICA: il soggetto ha difficoltà nello scrivere le parole senza senso.
AGRAFIA PROFONDA: il soggetto commette errori in campo semantico.

AGRAFIE PERIFERICHE
Le agrafie periferiche riguardano errori di omissione e di trasposizione di lettere.
AGRAFIA DA NEGLECT: errori di amputazione o sostituzione dell’inizio della parola e della parte sinistra del grafema;
AGRAFIA APRASSICA: disordine gestuale, il soggetto presenta delle difficoltà nello scrivere le parole ma può farlo con l’utilizzo di un computer.

Esistono anche altri tipi di agrafie non collocabili all’interno dei gruppi sopracitati:
AGRAFIA IDEATORIA: incapacità di scrivere lettere sotto dettatura;
AGRAFIA SPAZIALE: il soggetto scrivi a margine ed elude alcune parti della scrittura;
DISGRFIA: Diversa dalla agrafia, è una difficoltà nell’apprendimento della scrittura.

 I bambini che presentano tali disturbi, se aiutati da persone competenti sono in grado di migliorare. Molti bambini che presentano disturbi dell’apprendimento, percepiscono infatti la scuola come causa di difficoltà e frustrazione e l’obiettivo dell’aiuto di un professionista  è quello di prevenire atteggiamenti di allontanamento dall’ambiente scolastico oltre che di separazione dal contesto sociale.

DISTURBI DELLA COMUNICAZIONE 


Tra i 
disturbi infantili più comuni troviamo quelli della comunicazione .
Essi dipendono dalla 
funzione linguistica: questa si sviluppa nel bambino successivamente ad alcune modalità prelinguistiche come il pianto, il contatto oculare, le espressioni del viso, la lallazione ecc.. Il linguaggio compare all'incirca verso i primi 2 anni di vita, in alcuni bambini questo avviene precedentemente e in altri con un leggero ritardo ma la situazione non è da considerarsi patologica fino al momento in cui non si riscontrano delle alterazioni.
I disturbi del linguaggio possono essere distinti in alcune tipologie:
DISTURBI CENTRALI 
Detti anche afasia, i disturbi manifestano sintomatologie differenti a seconda della zona cerebrale compromessa;
DISTURBI DI PRODUZIONE O EMISSIONE
Balbuzie (anomalia nel fluire dell'eloquio) o aplologia (parla velocemente omettendo parole e invertendo il loro ordine); in tal caso l'emotività gioca un ruolo importante;
DISTURBI DELLA FONAZIONE 
Incapacità di produrre il linguaggio (forme di mutismo selettivo);
ALTERAZIONI NELLO SVILUPPO


Durante il processo di sviluppo individuale è possibile che si verifichino 
alterazioni di diverso tipo dovute ad anomalie o patologie: possono dunque presentarsi dei deficit.
I deficit cognitivi sono comunemente conosciuti come "
ritardi mentali" e possono derivare sia da fattori biologici che da fattori ambientali. I deficit derivanti dai primi sono individuabili già dai primi mesi di vita del bambino, i secondi invece sono riconoscibili solo dopo del tempo.
Un bambino che cresce in un'atmosfera poco stimolante o che al contrario presenta troppi stimoli sui quali non riesce quindi a concentrarsi, sarà più propenso allo sviluppo di un ritardo mentale. Se le condizioni di vita del piccolo vengono però cambiate in tempo è possibile riportare il suo quoziente intellettivo ad un livello normale.
Le possibili 
cause alle base delle alterazioni sono le seguenti:
EREDITARIETA': le malattie metaboliche possono originare danni cerebrali piuttosto gravi;
ALTERAZIONI PRECOCI DELLO SVILUPPO EMBRIONALE: mutazioni cromosomiche (sindrome di Down) o sostanze tossiche assunte dalla madre in gravidanza;
PROBLEMI DURANTE LA GRAVIDANZA O NEL PERIODO PERINATALE: malnutrizione del feto, prematurità, carenza di ossigeno ai polmoni;
CONDIZIONI MEDICHE DURANTE L'INFANZIA: infezioni, traumi, avvelenamenti e fattori ambientali;

I ritardi mentali possono essere però prevenuti attraverso 
controlli ostetrici.


LA VECCHIAIA




Dai 
55 ai 75 anni si entra nella cosiddetta terza età caratterizzata da una serie di cambiamenti fisici dati dall'invecchiamento biologico e psichico: ci si trova quindi a confrontarsi con una diminuzione della forza, della memoria oltre che della concentrazione.
Il 
pensionamento segna in modo particolare questa fase della vita e può essere in molti casi frutto di sofferenza; questa tappa della vita è però vista in modo diverso in base alla posizione lavorativa che si andava ad occupare precedentemente al pensionamento: coloro che infatti ricoprivano posizioni di responsabilità lo vivono in modo meno doloroso, mentre per gli altri la situazione risulta essere più complessa, possono incombere problemi economici dovuti ad una pensione insufficiente per vivere una vita decorosa.
Oltre i 75 anni possiamo invece parlare di ingresso nella quarta età: l'anziano deve confrontarsi con la modificazione della propria rete sociale conseguentemente alla morte di amici e parenti. Ciò lo porta a sentirsi sempre più solo, soprattutto per il fatto che la società non aiuta alla sua integrazione; essa è infatti sempre maggiormente votata al culto della giovinezza e porta quindi ad un'emarginazione sociale della persona anziana.
L'obiettivo principale di quest'ultima dev'essere quindi quello di mantenere i propri obiettivi e di 
invecchiare serenamente.

LA MATURITà


La cosidetta "mezza età" è quel periodo della vita al centro dell'età matura, difficile da collocare in termini di età in quanto l'allungamento della vita media è in continuo sviluppo. In molti casi questo periodo è contraddistinto da momenti di forte crisi: solitamente all'individuo sembra di averesaurito le sue possibilità, è già pronto a fare bilanci sul passato e a raccogliere ciò che ha seminato nel corso della sua vita. 
Uno dei maggiori cambiamenti ai quali si deve far fronte in questo periodo della vita è l'uscitadefinitiva dei propri figli dalle mura domestiche oltre che la morte dei genitori. Questi due fenomeni possono colpire la persona in maniera profondamente negativa e possono dunque incombere depressioni ma anche crisi coniugali riassunte in ciò che è la sindrome del nido vuoto

I GIOVANI ADULTI

Negli ultimi anni la società ha assistito alla formazione di una nuova fase successiva all'adolescenza, quella dei "
giovani adulti". Tale fase va circa dai 19 ai 28 anni e consiste in una prolungata convivenza dei figli con i genitori. La formazione di questa fase è con ogni probabilità dovuta a cause di ordine strutturale: la scolarità prolungata, la difficoltà nel trovare un posto di lavoro, ma anche a cause di ordine culturale, il rapporto tra genitori e figli è infatti caratterizzato da una minore conflittualità tra generazioni.
Legato a questo fenomeno troviamo anche quello dei 
NEET "né istruzione né lavoro o formazione", i NEET sono ragazzi generalmente tra i 15 e 29 anni che hanno lasciato il loro percorso di studi e non sono riusciti a trovare una collocazione nel mondo del lavoro.
Per quanto riguarda questa fase della vita è presente un altro fenomeno ad oggi 
totalmente accettato a livello sociale, quello dei "single"; se infatti in epoche precedenti questo termine era correlato alla fragilità e il matrimonio rappresentava un principio di identificazione sociale, ad oggi l'essere single non è assolutamente visto come un problema.
Esistono infine diversi adulti affetti dalla 
sindrome di Peter Pan, essi mancano di autonomia e non sono in grado di gestire con responsabilità la propria vita. Nella maggior parte dei casi queste persone hanno una prolungata convivenza con i genitori e ciò impedisce loro di progettare autonomamente la propria vita.
IL PERIODO DELL'ADOLESCENZA 


L'adolescenza è una fase piuttosto particolare della vita, caratterizzata da continui cambiamentisotto diversi punti di vista: il bambino infatti si appresta a diventare adulto e quindi ad ottenere maggiore autonomia per essere appunto indipendente. 
Il primo di questi cambiamenti è quello fisico al quale si subordina la ricerca della propria identità. In questo periodo inoltre l'adolescente sviluppa il pensiero astratto diventando così più introspettivo e riflessivo. In alcuni casi il rapporto con i genitori può essere compromesso e può diventare di carattere conflittuale: spesso i ragazzi si oppongono alle regole familiari e sociali e i genitori non accettano il distacco dalla vita dei figli. Il loro ruolo è però fondamentale per i figli e ciò che è loro richiesto è di trovare un equilibrio tra l'autonomia voluta dai ragazzi e la loro figura di guide nella vita dei figli. Altrettanto importante è il gruppo di coetanei che l'adolescente frequenta, l'appartenenza ad un gruppo coeso e omogeneo aiuta infatti il ragazzo in questo particolare periodo della vita. 
L'adolescenza è inoltre condizionata anche da fattori legati alla situazione di benessere o malessere psicologico e dalla personalità dell'individuo. 

LO SVILUPPO PSICOSOCIALE DI ERIKSON

Lo studioso Erik Erikson individua una serie di crisi che si possono manifestare nel corso della vita: è necessario superare ogni stadio con successo affinché la tappa successiva non presenti difficoltà. Ogni fase deve essere la base di quella successiva; lo sviluppo è dunque un processo che riguarda tutte le fasi della vita. Erikson suddivide la vita di un individuo in 8 fasi principali:
-  
CONFLITTO TRA FIDUCIA E SFIDUCIA: dalla nascita a 1 anno, il bambino è fiducioso che gli altri soddisfino i suoi bisogni;
CONFLITTO TRA AUTONOMIA E DUBBIO: da 1 a 3 anni, si sviluppa l'autonomia in contrasto con il dubbio sulle proprie capacità;
CONFLITTO TRA INIZIATIVA E SENSI DI COLPA: da 3 a 6 anni, sviluppo di iniziative personali e del senso di colpa quando si supera il limite imposto;
FASE DEL CONFLITTO TRA OPEROSITA' E INFERIORITA': da 6 a 12 anni, i bambini diventano più operosi o sviluppano sentimenti di inferiorità relativamente alle loro abilità;
-  
CONFLITTO TRA IDENTITA' E CONFUSIONE DI RUOLI: da 12 a 20 anni, si forma l'identità effettiva dell'individuo in contrasto con la confusione di ruoli;
CONFLITTO TRA INTIMITA' ED ISOLAMENTO: nella giovinezza, tendenza ad instaurare rapporti intimi o ad isolarsi;
CONFLITTO TRA GENERATIVITA' E STAGNAZIONE: nella maturità, l'adulto espressione del sé in contrasto con decadimento;
CONFLITTO TRA INTEGRITA' DELL'IO E DISPERAZIONE: nella senilità, l'anziano si sente realizzato o contrariamente si dispera per gli obiettivi non raggiunti;


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